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Colapietro & Partners Studio Legale


Diritto fallimentare


Diritto Fallimentare: Consulenza e assistenza nella fase pre e fallimentare, nelle relative controversie e in tutte le procedure concorsuali.

Legge fallimentare

Aggiornata al D.L. 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 marzo 2015, n. 20

 

 

Concordato: non occorre formale opposizione per divieto di azioni esecutive Tribunale Reggio Emilia, sentenza 06.02.2013 n° 216.

 

Con la sentenza Cass. 8533/2013, la supre Corte ha stabilito che i “CREDITI PROFESSIONALI, ANCHE SE MATURATI PRIMA DEL CONCORDATO SONO PREDEDUCIBILI”.

 

“IL FALLIMENTO SU INIZIATIVA DEL P.M. (art. 7 n. 2)” – Cass. s.u. 9409/2013 – 

E' legittima la dichiarazione di fallimento su impulso del pubblico ministero, anche quando la notizia della insolvenza sia pervenuta a quest’ultimo dal tribunale fallimentare che l'ha rilevata nell'ambito di un procedimento civile.

È fallibile una società in house?

Tribunale Reggio Emilia, sentenza 18.12.2014 n° 150 (Giuseppina Mattiello)

Può dichiararsi il fallimento della società “in house” (totalmente partecipata da enti pubblici) che non esercita un servizio pubblico essenziale di esclusiva competenza pubblicistica, poiché la stessa agisce sul mercato con finalità di lucro e si atteggia – nei rapporti coi terzi – come un soggetto privato, non costituendo un ostacolo alla fallibilità l’affermata giurisdizione del giudice contabile sulla responsabilità degli amministratori.

Così si ha deciso il Tribunale di Reggio Emilia il caso in esame nel quale una società, partecipata interamente da soggetti pubblici (“in house” appunto), versando in stato di insolvenza, avanzava istanza di fallimento.

Il giudice, nell’accogliere l’istanza, ha precisato che in giurisprudenza e in dottrina si registra sul punto un orientamento discordante. In particolare:

  • alcuni, sulla scorta di una pronuncia a Sezioni Unite della Suprema Corte (la n. 26283/2013) che, in considerazione dell’“anomalia del fenomeno dell'in house nel panorama del diritto societario”, ha attribuito alla Corte dei Conti la giurisdizione nei confronti degli amministratori o organi di controllo che compiano atti, contrari ai loro doveri d'ufficio, pregiudizievoli per la società “in house”, sostengono che non vi è distinzione tra ente pubblico e società e che, dunque, anche quest’ultima riveste le caratteristiche dell’ente pubblico e, pertanto, non è fallibile. A sostegno, seppur con argomentazioni diverse, si segnalano le seguenti pronunce di merito per cui “le società in mano pubblica, al ricorrere di determinate condizioni, non sarebbero fallibili non già perché enti pubblici, ma perché non riconducibili alla categoria dell'imprenditore commerciale” (Trib. Palermo, 8/1/2013 e Trib. Palermo, 18/1/2013) e “Se è vero che gli enti pubblici sono sottratti al fallimento, anche la società in house integralmente partecipata dagli stessi, non potrà essere soggetta alla liquidazione fallimentare, in quanto concreta mero patrimonio separato dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico, centro decisionale autonomo e distinto dal socio pubblico titolare della partecipazione, che esercita sullo stesso un potere di governo del tutto corrispondente a quello esercitato sui propri organi interni” (Trib. Napoli 9/1/2014 e Trib. Verona 19/12/2013);
  • i fautori dalla fallibilità si richiamano invece ad una pronuncia della Cassazione (n. 22209/2013) secondo cui “In tema di società partecipate dagli enti locali, la scelta del legislatore di consentire l'esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità” (in tal senso, App. Napoli, 27/5/2013, n. 346, App. Napoli, 24/4/2013, App. Napoli, 15/7/2009, Trib. Palermo, 11/2/2010 e Trib. Velletri 8/3/2010, Trib. Pescara, 14/1/2014).
  • Per il Tribunale de quo, invero, l’affermata competenza giurisdizionale della Corte dei Conti non impedisce affatto che le predette società possano essere assoggettate a procedura concorsuale, ben potendo le condotte dei soggetti essere considerate plurioffensive e, cioè, lesive del patrimonio pubblico e, nel contempo, pregiudizievoli per i creditori o i terzi (ai sensi degli artt. 2394 e 2395 c.c.).
  • Inoltre, l’indubbia peculiarità della governance della società in house non esclude che questa si atteggi, nei rapporti coi terzi, come un qualunque soggetto imprenditoriale privato (e, come tale, a rischio di insolvenza).
  • Infine, la finalità pubblicistica perseguita dagli enti pubblici soci non è automatica caratteristica della società in house, la quale (come quella in esame) agisce sul mercato con finalità di lucro (in termini di perseguimento – quantomeno – di un pareggio di bilancio, se non di lucro). In tal senso si è espresso il Tribunale di Modena (decreto del 10/1/2014) secondo cui “In difetto di diversa qualificazione legislativa, deve ritenersi valido il principio generale della assoggettabilità alle procedure concorsuali delle imprese che abbiano assunto la forma societaria iscrivendosi nell'apposito registro e quindi volontariamente assoggettandosi alla disciplina privatistica”.


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